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FATTORI DI RISCHIO PER LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI

I fattori di rischio cardiovascolare sono condizioni cliniche che determinano una maggiore suscettibilità a sviluppare eventi cardiovascolari come infarto acuto del miocardio, cardiopatia ischemica, ictus cerebrale, scompenso cardiaco congestizio, insufficienza renale e morte. Tra questi, un ruolo di primo piano viene riconosciuto ai disordini del metabolismo lipidico. Studi genetici, anatomopatologici e osservazionali hanno stabilito il ruolo cruciale delle dislipidemie, e particolarmente dell’ipercolesterolemia, nello sviluppo di CVDs. Nel contesto del MRFIT (Multiple Risk Factor Intervention Trial) si è dimostrato in modo inconfutabile l’esistenza di una relazione lineare tra colesterolemia, mortalità e incidenza delle malattie cardiovascolari. Negli ultimi anni è stato messo in luce come la presenza di alcuni fattori personali e ambientali, sia in grado di aumentale la probabilità di sviluppare queste patologie. È però accertato che un adeguato stile di vita, combinando gli effetti positivi dell’alimentazione a quelli dell’attività̀ fisica, è in grado di migliorare il profilo di rischio cardiovascolare mediante una riduzione dei valori dei lipidi, della glicemia e della pressione arteriosa. Per identificare quelle aree in cui è necessario intervenire in maniera più̀ decisiva al fine di ottenere una migliore prevenzione cardiovascolare, è possibile suddividere i fattori di rischio in modificabili e non modificabili.

Fattori di rischio modificabili:

1)Ipertensione arteriosa: Numerosi studi epidemiologici evidenziano la correlazione positiva esistente tra valori di pressione elevati e comparsa di eventi cardiovascolari. L’ipertensione contribuisce in modo significativo all’aterosclerosi sia producendo stress emodinamico sulla parete arteriosa, che promuovendo i processi di tipo ossidativo. Le concentrazioni di angiotensina II, il principale prodotto del sistema renina-angiotensina sono spesso aumentate nei pazienti con ipertensione arteriosa. L’angiotensina II è un potente vasocostrittore che contribuisce all’aterogenesi stimolando la proliferazione di cellule muscolari lisce. Oltre a ciò, incrementa l’attività lipossigenasica delle cellule muscolari lisce, favorendo i processi infiammatori e l’ossidazione delle LDL. Le linee guida del Joint National Committee VII (JNC VII) raccomandano di ridurre la pressione arteriosa al di sotto dei 140/90 mmHg, modificando la dieta e migliorando lo stile di vita. Se ciò non permettesse di raggiungere l’obiettivo, si rende necessaria l’introduzione della terapia farmacologica.

2)Fumo di tabacco: Il tabagismo è considerato il più importante fattore di rischio prevenibile per malattie respiratorie, cardiovascolari e tumori. Il rischio di eventi cardiovascolari fatali a 10 anni è quasi doppio nei fumatori e quello relativo nei fumatori al di sotto dei 50 anni è 5 volte superiore rispetto ai non fumatori. Il fumo aumenta la contrattilità miocardica acuta e la rigidità delle grandi arterie periferiche provocando un aumento netto del carico di lavoro miocardico. Nondimeno, il trasporto di ossigeno nel sangue si riduce a causa del legame che si instaura tra il monossido di carbonio e l’emoglobina, che rende il sangue più viscoso e aumenta il rischio di trombosi. La reversibilità del rischio si ottiene tra i 2 e i 5 anni dopo la cessazione dell’abitudine.

3)Diabete di tipo II: Il diabete di tipo II è caratterizzato dalla condizione di insulino-resistenza. Secondo le più recenti ipotesi, l’iperglicemia favorisce le alterazioni tissutali predisponenti l’aterosclerosi, attraverso la disfunzione delle cellule endoteliali e l’induzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS). Oltre ad incrementare lo stress ossidativo, permette la formazione e l’instabilizzazione della placca aterosclerotica mediante il processo di glicazione non enzimatica di differenti molecole, a cui fa seguito la formazione dei cosiddetti “advanced glycosylation end products” (AGE). Per prevenire eventi cardiovascolari, è necessario in caso di conclamato diabete di tipo II raggiungere valori di glicemia a digiuno ≤ 110 mg/dL.

4)Obesità: l’obesità è una condizione cronica caratterizzata da un eccessivo peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo. Costituisce un fattore di rischio indiretto, cioè in grado di indurre una maggiore incidenza di infarti cardio e cerebro-vascolari, incrementando la frequenza e la gravità di altri fattori noti di rischio. Il tessuto adiposo inoltre, non rappresenta unicamente un deposito passivo di riserve energetiche, bensì è un organo endocrino atto alla produzione di adipochine, che hanno effetti metabolici pleiotropici. Nel plasma del soggetto obeso, si ritrovano aumentati livelli di mediatori pro-infiammatori come la leptina, ma ridotti livelli di adipocitochine antiinfiammatorie quali l’adiponectina, con effetto anti-aterosclerotico. La diminuzione ponderale conduce ad un miglioramento dell’assetto lipoproteico generale, riducendo in particolar modo i valori di LDL-C e aumentando quelli di HDL-C. Le linee guida WHO consigliano quindi di perseguire uno stile di vita salutare per mezzo dell’attività fisica, per prevenire la patologia aterosclerotica. Le stesse, utilizzano come fattore per determinare l’obesità il BMI (Body Mass Index), e definiscono sovrappeso soggetti con BMI > 30 kg/m2.

5)Sindrome metabolica: la diagnosi di sindrome metabolica (SM) in accordo con i criteri del Third Report of the National Cholesterol Education Program, richiede almeno 3 dei seguenti fattori:

  1. trigliceridi elevati (>150 mg/dL)
  2. basso colesterolo HDL (<40 mg/dL nel maschio e <50 nella donna)
  3. iperglicemia da carico (>110 mg/dL)
  4. ipertensione arteriosa (>130/85 mmHg)
  5. aumento circonferenza addominale (per gli uomini >102 cm, per le donne >88 cm).

La patogenesi dell’aterosclerosi nella SM è legata alla dislipidemia aterogena e all’ipertensione. L’obesità determina un aumento della resistenza insulinica e iperinsulinemia, che a loro volta amplificano il rischio di sviluppare CVDs. Nondimeno, i pazienti con SM presentano uno stato pro trombotico e proinfiammatorio che predispone a eventi coronarici acuti: risultano innalzati i livelli di proteina C reattiva e l’eccesso di tessuto adiposo porta alla secrezione di citochine e ad un maggior rilascio dell’inibitore-1 dell’attivatore del plasminogeno (PAI-1) che determina una condizione protrombotica. Questi fattori concorrono ad aggravare il quadro clinico con cui si manifestano gli eventi CV. Rimane controverso il fatto che la sindrome metabolica comporti un rischio intrinseco diverso rispetto a quello espresso dai diversi componenti presi singolarmente.

6)Infiammazione: I processi infiammatori hanno un ruolo determinante nella patogenesi dell’aterosclerosi, intervenendo a diversi livelli nel processo. Tra le molecole e citochine coinvolte nella flogosi, la proteina C-reattiva (CRP) è quella maggiormente indagata. È una proteina di fase acuta, la cui sintesi e liberazione epatica è mediata da numerose citochine, tra cui l’interleuchina (IL)-6, in risposta a infezioni, danno tissutale o endoteliale. È dimostrato che elevati livelli plasmatici basali di CRP (>3 mg/dL) sono predittori indipendenti di morte improvvisa ed eventi cardiovascolari nella popolazione generale. Sono state accertate le responsabilità fisiopatologiche di alcuni markers quali la lipoproteina (a) e l’apolipoproteina A-1, che si potrebbero rivelare utili per diagnosi precoci. Il ruolo biologico della Lp(a) non è del tutto chiaro, ma sembra coinvolta nella risposta al danno endoteliale attraverso una intensa attività̀ pro-infiammatoria. Il razionale del suo coinvolgimento nei processi aterosclerotici risiede sia nel ruolo di trasportatore di colesterolo, sia nell’attività̀ pro- infiammatoria. Lo studio dei marker di flogosi è in continua evoluzione e permette di discriminare sottogruppi di pazienti a maggior rischio di eventi fatali.

7)Dislipidemie: Con il termine “dislipidemia” si intende la condizione clinica caratterizzata da un’alterazione qualitativa e/o quantitativa dei lipidi e delle lipoproteine plasmatiche. Risulta ampiamente dimostrato in letteratura come livelli elevati di LDL-C e trigliceridi si associno ad un aumento del rischio cardiovascolare. Infatti, le attuali linee guida si concentrano sull’abbassamento dell’LDL-C con statine sia in contesti di intervento primario che secondario. In particolare, la Joint Task Force Europea, definisce per pazienti in prevenzione primaria senza complicanze ottimali i valori di colesterolo totale < 200 mg/dL e di LDL < 115 mg/dL, ridotti i valori di colesterolo HDL < 40 mg/dL e elevati valori ≥ 60 mg/dL, normali i valori di TG a digiuno < 150 mg/dL.

Fattori di rischio non modificabili:

1)Età: è noto che, con l’avanzare dell’età, si assiste ad un incremento progressivo del rischio di CVDs. In particolare, l’aterosclerosi si rende manifesta a partire dai 35-40 anni di età e sebbene un ispessimento delle arterie sia riscontrabile già̀ dalle prime decadi di vita, le complicanze fatali si verificano quando la lesione è fortemente avanzata. L’esordio delle malattie cardiovascolari sintomatiche avviene generalmente 10 anni prima negli uomini, anche se l’incidenza nelle donne aumenta rapidamente alla menopausa, a causa del venir meno del ruolo protettivo rappresentato dalla componente estrogenica.

2)Sesso: le malattie cardiovascolari nelle donne si manifestano con un ritardo di circa 10 anni rispetto agli uomini. Dopo la menopausa, questa differenza di incidenza si annulla, poiché́ la carenza di estrogeni nelle donne comporta variazioni sfavorevoli dell’assetto lipidico, con aumento del colesterolo-LDL e riduzione di quello HDL, e modificazioni dell’emostasi in senso pro-coagulane, a cui si associa una disfunzione endoteliale.

3)Predisposizione genetica: il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari clinicamente manifeste è aumentato negli individui che presentano un familiare di primo grado affetto dalla stessa. La familiarità̀, ossia il verificarsi di un evento coronarico entro 55 anni negli uomini o entro 65 anni nelle donne in un parente di 1° grado, è considerata un importante Fattore di Rischio indipendente, con una prevalenza che varia dal 42 al 69%. Una corretta anamnesi familiare permette di valutare il rischio genetico di malattie cardiovascolari, ma ciò che risulta più problematico è la diagnosi genetica. Allo stato attuale, sono stati scoperti oltre 100 geni che, con frequenza più o meno elevata, sono coinvolti o influenzano lo sviluppo dell’aterosclerosi. Ciò rende particolarmente complicato indagare la patologia, poiché le alterazioni possono essere di natura poligenica. Infatti, solo raramente è coinvolto un singolo gene, più̀ frequentemente è un pool di geni che, in base al grado di interazione con l’ambiente, determina il fenotipo (che potrà̀ quindi variare dall’assenza clinica della malattia alla sua manifestazione più̀ drammatica).